E’ già da qualche tempo che sto facendo il conto alla rovescia, ma ultimamente comincio ad essere nervosa: il primo febbraio tornerò al lavoro, fine del periodo di maternità.
Già solo questa frase potrebbe bastare, credo, a far capire in che tunnel sono finita: ansiaansiaansiaansiaansia!! Non amo molto i bilanci, ma stasera ho voglia di ripensare a come sono andate le cose…
I primi mesi a casa con il pancione sono stati noiosetti: qualche problemino che mi impediva di fare shopping selvaggio, tante incertezze, tanta stanchezza. Più la pancia cresceva, più diventava difficile muovermi: io ricordo che facevo UNA (e dico UNA) cosa al giorno: che fosse svuotare la lavastoviglie, togliere le etichette ai body taglia 1 o leggere, riuscivo a fare una sola cosa e poi mi sentivo sopraffatta dalla stanchezza, fine dei giochi. La stanchezza che si prova in gravidanza è inconfondibile: pervade l’organismo e la mente, è assolutamente inutile opporsi! Parola d’ordine: divano.
Sui giorni precedenti e successivi alla nascita di Elisabetta non ho intenzione di stufare ora, si sappia solo che è stato un terremoto, ma di quelli proprio belli.
Quando mi sono resa conto di aver esaurito le persone a cui raccontare con dovizia di particolari parto e annessi, è iniziato un lungo periodo di assestamento (con qualche scossettina) in cui mi sono sentita come la cameriera di un hotel vista tangenziale.
Spiego… per certi aspetti avere un bambino è come accogliere in casa un perfetto sconosciuto, al quale devi servire i pasti a richiesta, rifare il letto, pulire la stanza, fare servizio in camera ad ogni ora della notte… Come una cameriera, tu devi conoscere il cliente alla perfezione per soddisfare ogni sua richiesta, il cliente invece ignora il tuo nome e non è minimamente interessato alle tue esigenze e ai tuoi stati d’animo. Ecco, all’inizio è stato un po’ così.
Non so se esiste un innamoramento immediato al proprio figlio, per me non è successo. Io ho dovuto capire e conoscere quell’esserino che era venuto a vivere in casa mia, quella bimba che occupava tutti gli spazi liberi, pretendeva e chiedeva (nemmeno molto chiaramente) e non lasciava mai la mancia.
Gli argomenti prevalenti in questa casa sono stati per mesi: le coliche: autosuggestione o problema reale? modi per utilizzare il finocchio in ogni piatto di un menù a sei portate, preparazione del minestrone anti-colica perfetto, nesso tra uso del condizionatore e mal di orecchie, sondino sì o sondino no…. Uno spasso! Ma uno spasso sul serio, perché per fortuna anche in alcune situazioni difficili il senso dell’umorismo si è salvato, e a volte aiuta di brutto!
E poi….Fine del periodo di astensione dal lavoro.
Sì, nel senso che dopo i primi tre mesi di ansia/gioia/nervoso/fatica/allegria, il tempo è volato. Quasi sei mesi in un soffio. Non scherzo, davvero è stato così per me. Perché quando la cameriera comincia ad amare alla follia il cliente (e il cliente comincia a lasciare copiose mance) non si sente più come se stesse facendo un lavoro pesante, si sente innamorata persa, si sente felice. E quando si è felici, è cosa nota, il tempo vola. Io e Elisabetta ci conosciamo meglio, sappiamo cosa piace all’una e all’altra, abbiamo la nostra routine che scandisce le giornate, le nostre abitudini, le nostre frasi magiche, i nostri momenti “no”. Viviamo in un mondo parallelo: gli altri corrono, lavorano, si svagano, noi due viviamo i nostri giorni insieme, muovendoci su due linee del tempo che scorrono vicine: a volte cozzano e a volte si incastrano perfettamente. Io non ho mai avuto una persona così vicina a me per così tanto tempo, non ho mai guardato un volto così a lungo, non mi sono mai sentita così indispensabile e inutile insieme.
Sarà dura tornare alla vita “reale”, quella fatta di corse-stress-oddio che ore sono-quante cose da fare-che storia è venerdì-devo fare la spesa… perché è indiscutibilmente più interessante e bello (maledettamente bello) guardare una bambina che gioca con le sue mani* .
Ci sono molte donne costrette a tornare al lavoro dopo i primi tre mesi di maternità per motivi economici, perché il 30% di uno stipendio è proprio poco, nel mio caso ci si pagano a stento le bollette, forse qualcuno non ci paga nemmeno i pannolini. Ci sono donne che un lavoro non ce l’hanno e quindi sono costrette a rimandare la possibilità di fare un figlio, e questo non è un atto di egoismo come a volte ci viene fatto credere, è una distorsione della nostra società . Io sono convinta che una donna non dovrebbe mai scegliere tra lo stipendio, il lavoro e un figlio, credo che un mondo civilizzato dovrebbe avere ben chiare le priorità, e mettere davanti a tutto la vita, non i soldi, creando le condizioni perché i bambini possano stare sereni con le loro mamme il più a lungo possibile. Ma io sono stata immensamente fortunata, e quindi questi discorsi fatti da me non hanno un gran senso. Però ci penso, e quindi nonostante tutto tornerò al lavoro con responsabilità, sapendo che quello che ora mi sembra un gran peso è invece una fortuna enorme, e non vedo l’ora di spiegarlo a Elisabetta.
Giuppy
*Se vi ho convinte, vi prego di mandare una lettera al mio datore di lavoro chiedendogli di continuare a pagarmi per stare a casa con Elisabetta. Grazie.