venerdì 24 giugno 2011

You have a piece of my heart...!


Due ricci di Penny Black, fanno sempre tanta tenerezza, con questo cuore puzzle poi...
Il biglietto non necessita di ulteriori commenti,  dice gia' tutto.
I riccetti sono colorati lievemente con gli acquerelli e il cuoricione è messo in rilievo con il glossy accents.
Il timbro ad incrocio invece è parte di un set di Waltzing mouse.
La fustella per il taglio del pannellino bianco è la notissima Nestabilities e l'effetto 3D è dato dal biadesivo spessorato.

Ciao!!! Ele.

giovedì 23 giugno 2011

Tredici mesi: facciamo il punto.


Una cosa che ho imparato a conoscere e amare di Elisabetta è il suo stare nel mondo con gli occhi sgranati a bere serenamente sorsate di vita. Non si preoccupa di quello che la aspetta e di dove la porteremo, ama le sue abitudini ma non si fa spaventare facilmente dalle situazioni nuove. E’ curiosa: ci cerca con gli occhi ma sembra sempre sicura della nostra presenza e quindi assolutamente serena nell’esplorare gli spazi. 
Quando voglio autoincensarmi mi piace pensare di essere la fonte della sua serenità, ma quando voglio essere più realistica so che non è la verità, purtroppo: questo è il suo carattere, qualcosa che va al di là di me… Perché Elisabetta affronta con tranquillità tutto ciò che manda in crisi me: i cambi di programma repentini, i cani, gli sconosciuti, gli spazi nuovi, i sapori nuovi. Io non so mai come affrontare queste cose, e nel tempo in cui mi fermo a pensarci lei lo sta già facendo.

Elisabetta ha mosso i primi passi semplicemente staccandosi da un mobile e camminando verso un suo gioco, mentre noi siamo rimasti imbambolati e stupiti: nessuno l’ha stimolata né invitata a farlo, è partita perché si sentiva di poterlo fare. Assolutamente al di là di noi.
Noi che siamo un po’ distratti, noi che non la sommergiamo di indicazioni, giocattoli e parole perché a noi dà fastidio l’eccesso di stimoli e quindi pensiamo sia lo stesso per lei. Abbiamo sempre assecondato il suo gioco libero, intervenendo raramente  e a costo di sentirci “trascuranti”. Elisabetta gioca molto da sola, e io adoro restare in un angolo a guardarla: sposta gli oggetti, li getta per terra e li raccoglie, riempie e svuota scatole, trascina asciugamani con le mani e con i piedi, sfoglia libri e riviste, prova a costruire torri, esamina gli oggetti da ogni angolatura, ne testa il sapore, la capacità di fare rumore e la velocità massima in volo.
In pochi mesi ha già masticato la terra, un sasso e la cacca di un uccellino. E siccome siamo due genitori distratti, temo ci sia altro che ci è sfuggito. Ha sbattuto la testa ed è caduta molte volte, poi ha imparato come cadere gettando in avanti le mani e a cosa attaccarsi per mantenere l’equilibrio. Non gliel’ho insegnato, ho solo un marito meno ansioso di me che le ha permesso di provare a fare da sola…ed ha aiutato me a ricordare che non sarebbe morta per una caduta da 50 cm.

Qualche settimana fa, improvvisamente, ha sfoderato il suo primo gioco di finzione (non so quale sia il termine pedagogico esatto): finge di prendere qualcosa nell’aria, da una scatola, dalla carta, lo porta alla bocca e mastica. Dopo i primi cinque minuti di assoluto stupore, ho provato ad inserirmi chiedendole di far mangiare anche me, e funziona: finge di prendere qualcosa, me lo porge ed è felicissima di vedermi ringraziare e masticare. Scusate se è poco, ma io in questo giochino stupidissimo ci vedo un ragionamento molto complesso che ha imparato senza nessuno sforzo intenzionale da parte mia. E che forse, in una casa piena di giochi, luci, suoni e colori io non avrei mai colto. Sarà per questo che non mi è mai venuto in mente di farla giocare con le tempere: cerco di proporle solo oggetti ai quali la vedo realmente interessata e con i quali possa giocare da sola, perché sono convinta che le regole, i pensieri e i movimenti degli adulti non siano veramente adatti al gioco di una bambina di un anno.

Se provassi ad insegnarle ad aprire la porta con una chiave,  sono sicura che la cosa annoierebbe mortalmente me e anche lei, però un giorno ho lasciato che  giocasse con il mio portachiavi e dopo un po’ si è alzata e si è diretta verso la porta con le chiavi in mano, puntando alla serratura. Per me questo è sufficiente a gioire come una scema.
Il  suo mondo è fatto di gesti quotidiani e di spazi conosciuti: non riesco ad immaginare che possa giocare con una cucina-giocattolo e non ho nemmeno idea di come insegnarglielo, ma so che può giocare ad imboccare la mamma, il che mi fa presupporre che la sua mente sta lavorando  su un livello di complessità e di astrazione nuovi. Una cucina giocattolo di plastica non può fare di meglio, ne sono certa.

Ci sono dei lunghi momenti in una giornata nei quali io sto con Elisabetta e non parlo. Se qualcuno mi svegliasse alle sette del mattino e iniziasse ad inondarmi di parole (magari per fare la telecronaca di quello che sta succedendo intorno) credo che la cosa mi innervosirebbe molto, e poiché io sono convinta che il cervello di Elisabetta sia del tutto simile al mio, sono sicura che per lavorare bene non ha bisogno di essere riempito di parole e stimoli.
Ha però bisogno di vedere dove è la mamma e di sapere che quando va via tornerà, ha bisogno di sentirsi dire “NO” e di essere applaudita quando fa le cose bene, ha bisogno di provare a sporcarsi con la pappa e bagnarsi con l’acqua, ha bisogno di giochi che somiglino agli oggetti reali (e nel mondo reale non tutto è fatto di plastica, cavoli!!!), ha bisogno di essere toccata e baciata, ha bisogno di toccare pance e  visi, ha bisogno di poter appoggiare la testa sul mio petto, ha bisogno di un mondo rassicurante ma anche interessante.

Credo che sia questo l’unico merito che possiamo ritagliarci: spingerla ogni giorno a mettere il naso nel mondo senza troppe paure. O meglio, senza le mie paure.  Che insomma donne, non è mica facile come sembra!!!
giuppy