venerdì 21 dicembre 2012

Tempo di bilanci.







Il titolo di questo post dice già tutto.

Dice che siamo a fine anno e che come ogni fine anno ci si dedica a quelle attività di rendicontazione proprie di questi periodi.
Si compra l'agenda per l'anno nuovo (fatto) e qualche regalo di Natale (fatto).
Si ripercorre con la mente quello che è accaduto in questo 2012 (fatto).
Si prova ad immaginare ciò  che potrebbe accadere nel prossimo Maya permettendo, sfruttando la complicità di quelle sostanze edulcoranti presenti in ogni essere umano nel periodo prefestivo (fatto).

Fin qui nulla di nuovo.

L'unica sostanziale novità che ho da raccontarvi riguarda la fotografia.
Il motivo di questi quattro scatti  che con il tema  bilanci  effettivamente non c'entrano granché  è che li ho utilizzati  per partecipare ad un concorso interno del circolo fotografico a cui appartengo. 
Tema del contest non bilanci, ma: Geometrie.

Ebbene, con grande soddisfazione mi son classificata prima.
La somma dei punteggi ottenuti con la mia partecipazione ad altri concorsi interni, mi ha permesso di essere anche la prima della classifica generale di quest'anno.
Insomma, per farla breve mi è andata di lusso.

Contentissima e stupita allo stesso tempo, continuo a pensare a quando ho deciso di iscrivermi al corso di fotografia.

L'ho fatto senza pensarci troppo, la fotografia mi ha sempre affascinata.

Da piccola passavo giornate a guardare i nostri album di famiglia.
Poche foto e di pessima qualità ma con dentro tanta vita.
Mi piaceva guardarmi neonata, mentre muovevo incerta i miei primi passi, vedere i cambiamenti sui volti dei miei genitori, alcuni dei loro atteggiamenti che non mi ricordavo gli fossero appartenuti, ridere di abbigliamento e tagli di capelli improponibili; accarezzare con un dito il sorriso di chi se n'era già andato dal palcoscenico della vita.
E' stato mio fratello a farmi da apripista e ad appassionarsi di fotografia;  spesso son stata ostaggio dei suoi esperimenti tra set fotografici e luci home-made.
Ricordo di serate abbagliata dalla luce del flash e giorni di attesa per vederne i risultati dalle stampe.
Complice la notevole differenza d'età tra di noi io imparavo a scrivere in corsivo, lui si destreggiava con la sua nuova reflex una Yashica, acquistata grazie al suo primo stipendio.
Di mezzo ci son stati anni di grandi viaggi per lui e di tante belle foto.
La mia prima macchina fotografica e il mio primo rullino son stati un regalo suo, cosi' come la prima compatta digitale degna di nota.
Poi, un periodo di buio.
Tempo in cui non c'è stato davvero spazio per "la luce".
Le fotografie ti nascono da dentro, ed è verissimo.
Lo diceva bene Bresson:
“fotografare è mettere sullo stesso piano occhio, mente e cuore"

Nulla di piu' vero.
E' stato quando mio papà se n'è andato che ho deciso di avvicinarmi anche io seriamente alla fotografia.
Mi son detta che da quel buio dovevo uscirne e che il primo passo sarebbe stato quello di fare qualcosa che finalmente mi facesse stare bene.
Mi si è aperto un mondo, un mondo fatto di luce appunto.
Un universo di  sensazioni ed emozioni nuove.
Spazio per nuove amicizie e  soddisfazioni.
Non mi aspettavo tanto successo, son sincera.
Io non sono una persona che ama mettersi in mostra, preferisco stare un passo dietro agli altri piuttosto che in prima fila.
E' un lato del mio carattere che non mi infastidisce, anzi lo trovo un' opportunità che mi permette di vedere le cose e le persone da un punto di vista differente (e per un  fotografo credo sia importante).

Se in questo momento comunque, c'è  spazio per una mia breve comparsa in prima fila, utilizzo questo posto d'onore come mezzo per immaginare.

Immaginare il sorriso che mi avrebbe regalato mio padre una volta saputo del mio successo.
Immaginare  la luce che avrebbero emanato i suoi occhi , mentre gli avrei comunicato la classifica.
Immaginarlo in un posto sereno dove non debba stare dietro lo schermo di un pc per guardare i miei scatti, o metterci le dita sopra come faceva con quelli di mio fratello.
Immaginarlo orgoglioso di me oggi   e in  tutti quei momenti in cui nella mia mente, nel mio occhio e nel mio cuore starà nascendo un nuovo scatto.

Elena.








lunedì 10 dicembre 2012

Un sabato di novembre


Un sabato mattina piovoso di novembre, dopo una settimana passata in casa in mezzo ai malanni di vario genere. 
Non so voi, ma quando piove e si fa coppia fissa con una minore molto bella ma sensibile a qualsiasi batterio, è un pò difficile trovare qualcosa da fare. Qualcosa di divertente, intendo. 

Quel sabato mattina mi è venuto in mente che poco distante da casa nostra c'è QUESTA libreria, e ho pensato che avremmo potuto sfidare la sorte e andare a fare un giretto dentro: ho ben presente di questa libreria la quantità e varietà di libri e giochi per bambini e una tolleranza molto alta del disordine che una madre e una bimba possono portare. 

Ricordo che quando io e mio fratello eravamo piccoli, il sabato si andava a fare la spesa in un grande ipermercato e il rito era sempre lo stesso: si entrava tutti insieme, io e mio fratello venivamo abbandonati subito nella corsia dei libri, mamma e papà nel frattempo facevano la spesa e tornavano a recuperarci con il carrello pieno, noi due sazi di letture. Mio fratello si perdeva nel settore storia/fantascienza, io ero più piccola e quindi ancora attirata dalle fiabe; prima di tornare a casa, si faceva tutti merenda con il gelato. I miei genitori non hanno mai fatto nulla di particolare per incentivare il nostro amore per la lettura, se non questo: ci hanno lasciato sempre a disposizione libri e tempo per leggere. Probabilmente non l'avrebbero mai fatto se avessero intuito ciò che è successo 30 anni dopo tra i loro figli, cioè uno scambio intenso e compulsivo di libri afferenti esclusivamente al filone "guerra nella ex-Jugoslavia". Ma questo fa parte dell'imprevedibilità dell'essere genitore!

Tornando al nostro sabato di novembre, siamo entrate nella libreria sotto la pioggia, tra un'attacco di tosse e uno strarnuto, e ne siamo uscite ore dopo con due libri. Ho chiesto a Elisabetta di scegliere qualcosa che le piacesse: ha esaminato, sfogliato, spostato molti libri ma alla fine la sua scelta è caduta su una favola della buonanotte. Ha ignorato le mie insistenze per l'acquisto di una storia dei Barbapapà: sono felice che abbia scelto qualcosa che le piacesse davvero anche se ci sono un pò rimasta male perchè io la storia dei Barbapapà la volevo proprio leggere. 

Quella mattina io ho rinunciato ai Barbapapà per questo libro: 

"Una fiaba per ogni perchè. Spiegare ai bambini perchè succedono le cose"
Elisabetta Maùti, Ed. Erickson

La mia scelta è stata guidata da una vera e propria folgorazione: da alcuni mesi mi chiedevo se qualcuno avesse mai pensato a scrivere una storia che racconti della separazione: non ho fatto grandi ricerche ma sapevo che prima o poi avrei dovuto occuparmi di questo aspetto, ma non solo... 
Questo libro è fatto di storie che spiegano eventi "spinosi": la separazione appunto, ma anche la nascita del fratellino, l'assenza della mamma e del papà per lavoro, il nido, la paura del buio...
I racconti sono essenziali, si prestano benissimo ad essere riempiti di particolari dettati dalla fantasia oppure ad essere "sfrondati" per renderli adatti ai bambini più piccoli, i disegni belli e molto espressivi, le storie sono costruite in maniera molto delicata e poetica senza per nulla scadere nel banale, il nesso tra la storia fantasiosa e la realtà è intuibile e decisamente alla portata di un bambino anche piccolo come Elisabetta. 
Le storie che Elisabetta ha dimostrato di amare subito sono:
"La storia dello sciroppo Tobia" Racconta di uno sciroppo, Tobia, che fa un patto con un bimbo malato e gli permette di guarire, convincendolo a superare il disgusto per il suo sapore. 
"La favola del drago" Questa è la storia di un piccolo drago, Cameo, che sfoga la sua rabbia incontrollabile sputando fiamme che bruciano alberi e giocattoli, isolandosi così dagli amici e ricevendo i rimproveri del papà. Il piccolo drago, grazie all'intervento di un provvidenziale folletto, riuscirà a trovare il modo di gestire la sua rabbia incontrollabile e smettere di averne lui stesso paura. 
Chiaramente, queste due storie fanno riferimento ai due aspetti che Elisabetta si trova più spesso a dover gestire in questo periodo: la malattia, le medicine e la sua rabbia. 


La storia che parla della separazione racconta di un bruco e di una lumaca che, nonostante qualche perplessità iniziale e profonde differenze personali, si sposano, fanno figli (due bruchetti e tre lumachine), vivono felici per un pò di tempo. 


Poi però un giorno il bruco inizia a diventare triste, si isola e, nello sgomento iniziale  dei suoi piccoli, esce dalla casa della mamma lumaca per diventare una farfalla. La strana famigliola non vivrà più unita, ma il papà bruco, ora diventato farfalla, verrà spesso a trovare i suoi piccoli e a portarli con sè per favolosi voli nel cielo. 
Certo la favoletta sorvola alcuni aspetti fondamentali, quali i possibili feroci litigi tra la lumaca e il bruco per il possesso dell'aspiravolvere, o la difficile fase di decisione degli alimenti; non c'è nemmeno traccia di dolore, lutto, disperazione e solitudine, ma probabilmente i bambini non hanno bisogno che tutte queste cose vengano loro esplicitate, mi pare invece che il racconto centri il problema, cioè prova a spiegare perchè il bruco e la lumaca non possono più vivere a casa della lumaca: "Papà abiterà in una casa diversa perchè è cambiato e ha bisogno di spazio per muoversi e volare, ma voi potete chiamarlo e vederlo e lui volerà a prendervi e a giocare con voi". 
Io trovo che il racconto sia un buon tentativo di rendere spiegabile ai bambini qualcosa che spesso è molto difficile da capire anche per gli adulti. 



Elisabetta ama molto questo libro, lo sfoglia con cura, si sofferma sulle immagini, chiede spessissimo del drago e dello sciroppo Tobia, ripete a memoria alcune frasi delle storie che ha imparato a memoria, con mio immenso stupore ma anche con mia grande gioia. 

giuppy

mercoledì 17 ottobre 2012

Ebibabetta e Mamma Iusi sono qui.




Chiama le persone per nome, ma se non sa i loro nomi le chiama "signore, signora". 

Ha sviluppato un interesse spiccato per i piccoli animali: formiche, bruchi, api, millepiedi. Un giorno mi ha chiamata felicissima per mostrarmi una cavalletta, orrendamente adagiata in un angolo di un parcheggio... io la strattonavo via e lei la salutava allontanandosi. 

Distribuisce ruoli: tu sei nonna, tu sei Echica, tu sei Ebibabetta, tu sei la dottoressa... 

Ringrazia a sorpresa, in un modo dolcissimo che ruba il cuore: "Mamma, mi hai comprato le fialette (di fisiologica) ma grazie mamma, grazie! Mamma mi cambi perchè sono sporca, grazie!"

Fino a qualche mese fa sembrava del tutto indifferente ai miei spostamenti e ai miei arrivi, ora invece sono diventati i nodi critici della nostra relazione. Mi chiede spessissimo se resto con lei o se devo andare via, quando torno dal lavoro chiede conferma: "Sei tornata mamma? Stai qui adesso?" con un filo di ansia che mi spiazza sempre.

Ha imparato che mamma e papà vivono in due case diverse, che ci sono tempi da passare con papà, con mamma, con nonna, con nonna e mamma, con mamma e papà, sa che non è lei a deciderli e quindi fanno tenerezza le sue domande, come: "Dove dormo oggi?". Non mi lascio colpire dalle mille implicazioni che sembrerebbe portare questo suo disorientamento: lei chiede, sente la risposta e si adatta. Non ho idea di come stia crescendo dentro di lei il concetto di famiglia, non chiedetemelo ora. So che ha imparato che mamma e papà sono entità separate ma anche un'entità unica dal punto di vista emotivo e affettivo. E per ora questo mi pare  importante. 

Poi è successo che avevo detto "A settembre cerco casa". E invece a settembre casa l'ho proprio trovata. Una piccola casa con un divano rosso e una cucina bianca, una stanza per noi due, giusto giusto quello che ci serve per stare bene insieme. I miei pensieri ora si  avvitano su questi cardini: Non so se ce la farò-sono felice perchè vado a vivere da sola ma ho Elisabetta-voglio essere autonoma ma dipendo da tutti- No non ce la farò. 
Lei ha visto il suo lettino nuovo e il quadro dei gufi, e sembrava felice.  Non abbiamo ancora iniziato a dormire nella casa "nuova", la maniaca della pulizia qui presente dovrà probabilmente pulire le fughe delle piastrelle prima di decidere che la casa è pronta.

Non ancora due anni e mezzo, due traslochi, la terza casa in cui vive, due genitori separati.  Quando ci penso, mi sembra un dramma. 

Ma a me piace pensare che Elisabetta crescerà muovendosi in tre case diverse: quella di mamma, di papà e della nonna, destreggiandosi in  regole e abitudini diverse, guardando la televisione su  divani diversi (uno azzurro, uno rosso e uno beige), dormendo in tre lettini diversi, sentendosi a casa in tutti i luoghi in cui troverà affetto. 

Più che altro, lo spero. 

In ultimo, un dramma ma anche una cosa bellissima: l'amata Echica non ci sarà per un pò al nido, perchè sta facendo la cosa più importante del mondo, aspettare un bambino. Malgrado la felicità per lei, confesso che mi ha angosciato capire che Elisabetta dovrà vivere il distacco da una figura che per lei è così carica di affetto, così familiare.  Nel dubbio e non sapendo come affrontare la cosa con lei, ho fatto la scelta migliore, da vera mamma moderna, consapevole e riflessiva: non l'ho affrontata, sperando che qualcun altro lo facesse al posto mio, "Qualcuno al nido le dirà pur qualcosa".  Mi ha colpita molto questa mia paura di affrontare le paure, questa stupidissima inclinazione a sperare che le cose importanti si affrontano nelle "sedi giuste" e non a casa. Mi è sembrato vicinissimo il rischio di delegare l'educazione affetttiva a qualcun altro, che di certo "sa trovare le parole, sa come farlo". No, mi sono detta, ora lo faccio io, lo devo fare, devo essere io a spiegare a Elisabetta che la sua adorata Echica non tornerà al nido per molto tempo, perchè dovrà curare un bambino suo. Brava Giuppy, così si fa. 
Infatti è passata una settimana e ancora non ho trovato il momento giusto per affrontare l'argomento... ma lo farò, sì che lo farò... 

In ultimissimo.... perdonate la lunga assenza, ma è stata un'assenza densa di pensieri e di impegni, di bronchiti.... e di Ikea. 
giuppy

mercoledì 19 settembre 2012

Parole e sassi.




E' da Giugno che ho in mente questo post.
Eppure da Giugno non è mai stato il momento giusto perché prendesse forma.
Tempismo.
Tra i miei cantanti preferiti c'è  Samuele Bersani,  i testi delle sue canzoni mi hanno spesso rapita.
Mi piacciono i suoi giochi di parole e la capacità tipica dei cantautori di verbalizzare immagini, situazioni, sentimenti.
Tra le sue canzoni ce n'è una che ascolto spesso eppure non mi stanca mai.
La canzone si intitola: LE MIE PAROLE, e il testo è troppo bello per non postarvelo.

"Le mie parole sono sassi 
precisi aguzzi pronti da scagliare 
su facce vulnerabili e indifese 
sono nuvole sospese 
gonfie di sottointesi 
che accendono negli occhi infinite attese 
sono gocce preziose indimenticate 
a lungo spasimate e poi centellinate, sono frecce infuocate che il vento o la fortuna sanno indirizzare 
Sono lampi dentro a un pozzo, cupo e abbandonato 
un viso sordo e muto che l'amore ha illuminato 
sono foglie cadute 
promesse dovute 
che il tempo ti perdoni per averle pronunciate 
sono note stonate 
sul foglio capitate per sbaglio 
tracciate e poi dimenticate 
le parole che ho detto, oppure ho creduto di dire 
lo ammetto 
strette tra i denti 
passate, ricorrenti 
inaspettate, sentite o sognate... 
Le mie parole son capriole 
palle di neve al sole 
razzi incandescenti prima di scoppiare 
sono giocattoli e zanzare, sabbia da ammucchiare 
piccoli divieti a cui disobbedire 
sono andate a dormire sorprese da un dolore profondo 
che non mi riesce di spiegare 
fanno come gli pare 
si perdono al buio per poi ritornare 
Sono notti interminate, scoppi di risate 
facce sovraesposte per il troppo sole 
sono questo le parole 
dolci o rancorose 
piene di rispetto oppure indecorose 
Sono mio padre e mia madre 
un bacio a testa prima del sonno 
un altro prima di partire 
le parole che ho detto e chissà quante ancora devono venire... 
strette tra i denti 
risparmiano i presenti 
immaginate, sentite o sognate 
spade, fendenti 
al buio sospirate, perdonate 

da un palmo soffiate."

QUI la potete ascoltare. 


Tre minuti e ventidue secondi ben spesi.

Dal primo ascolto l'ho subito sentita mia, forse perchè racchiude in sè due mie grandi fissazioni: parole e sassi.

Le parole.



Ci sono quelle abitudini che ti porti dentro da sempre e non ne capisci il motivo.Tra le tante io ho la consuetudine di incantarmi e lasciarmi trasportare altrove dai discorsi delle persone, e allo stesso tempo  di rimanere enormemente ferita da una sola parola detta magari con leggerezza.



Quando qualcuno mi parla ho il maledetto vizio  di immagazzinare alcune frasi e riuscire a risentirle a sfinimento.


Il discorso avanza, ma io sono li' incartata a  riascoltare nella mia testa quelle due o tre parole e a lavorarci sopra.


Mi è capitato spesso di riuscire a farmi un'idea di una persona e vederla drasticamente cambiare in seguito a "note stonate" che sono uscite dalla sua bocca. 
Quando mi accade di dover dire qualcosa di importante a qualcuno mi chiedo mille volte se c'è un modo migliore per farlo, e soprattutto se è il caso di farlo.
Mi sono accorta in mille circostanze differenti, quanto  la scelta ponderata di una parola rispetto ad  un'altra avrebbe reso meno devastante l'effetto di quei "sassi aguzzi pronti da scagliare" che spesso  ho usato anche io come arma impropria.


A volte  "ho creduto di dire" una cosa ed invece è stato capito l'esatto opposto.


Svilisce sempre un po', doverlo spiegare a posteriori.


Talvolta parole come "frecce infuocate" hanno fatto breccia nella mia mente e mi hanno sorpresa fragile nelle mie certezze, proprio quando avevo in me la convinzione che fossero inattaccabili.
Mi è successo di leggere una frase in un libro e restarne talmente colpita da non riuscire a continuare la lettura per l'impellente bisogno di rifletterci sopra.
Il potere delle parole esercita un grande fascino su di me.

I sassi.

Quando ripenso alle mie estati da piccola mi rivedo sdraiata nei prati a guardare le nuvole correre nel cielo e ricordo di aver sempre trovato divertente il  passatempo comune a molti, di cercare di scorgerci delle figure.
Intuire nei contorni di una nube un cuore, un cane, un cavallo, un volto e cercare di farlo scorgere anche a chi era con me.
Lo stesso valeva anche per  la forma delle montagne, e per quella dei sassi.

E vale tutt'ora perchè certi "trip" pare non ti abbandonino nemmeno in età adulta.

Forse da questa mia attenzione per i particolari è nata l'abitudine di scegliermi un sasso e portarmelo a casa come souvenir, quando è possibile.
Sorge spontaneo immaginare  che abbia una pietraia in casa.
Non è cosi', anche se piu' volte in Liguria ho avuto la tentazione di  riempirmi le tasche di sassi perchè mi piacevano tutti.
Selezionarli  risulta talvolta difficile, li osservo e penso a quanti anni di sole, acqua, terra e vento li avranno accarezzati, scolpiti.
A quanti kilometri avranno percorso per raggiungere il punto in cui si trovano ora.
Mi immagino che il sasso che ha catturato la mia attenzione oggi, possa essere rimasto ignorato in mezzo a tanti altri per centinaia di anni ,  oppure che qualcuno prima di me  lo abbia gia' raccolto  e magari dopo averlo osservato per un po'  l'abbia scagliato lontano insieme ai suoi pensieri  in un torrente, e dal torrente sia arrivato al mare.
Oppure alzando  gli occhi verso la vetta di una montagna,  penso che il ciottolo che ho appena raccolto sul sentiero sia arrivato fin li' lasciandosi trasportare dallo sciogliersi della neve, spettatore nel suo percorso di  albe incredibili e tramonti mozzafiato.
Forti raffiche di vento, rimbalzo dopo rimbalzo l'hanno reso interessante al mio sguardo e poi alle mie mani.
Un sasso ha sicuramente una storia senza tempo dietro.
Una storia affascinante e di bello c'è che puoi inventartela tu.
Un sasso non sarà mai uguale ad un altro, ha una sua unicità.
Calpesti tantissimi sassi, ma è uno solo che ti chini a raccogliere.

Sei tu che pensi di averlo trovato e magari è lui che invece si è fatto trovare da te.

Se poi il sasso che trovi è come quello della foto,  allora il binomio parole/sassi è quasi inscindibile.
E credo  non ci sia altro da aggiungere.

Ele.

venerdì 7 settembre 2012

La vertigine non è paura di cadere


C'è qualcosa di violento dentro ai cambi di temperatura così veloci, anche se attesi. Un senso di smarrimento, una vertigine, un perdita improvvisa di equilibrio. 
Veramente, è da giugno che ogni tanto mi assale costante la vertigine, il caldo ha fatto solo da cornice....

Compio gli anni in agosto, e quindi sono abituata a misurarmi con l'estate, la solitudine delle strade al mattino, le cose strane che possono succedere solo ad agosto, i paesaggi arsi dal sole, le piazze piene di sera e vuote il pomeriggio. 


Agosto:
Una serata in Città Alta con due amiche che non vedevo da anni e con cui il dialogo si è semplicemente riaperto là dove si era interrotto. 
La scoperta dei Radiohead, io che pensavo di sapere tutto di musica. 
Qualche invito declinato, una grigliata per il mio compleanno, buona compagnia.
Sere di sushi e stupore, tante domande e risposte che non arrivano subito.

Settembre si è aperto con un grande, enorme senso di stanchezza. Un pizzico di delusione, forse anche di disillusione, in un sottofondo costante di emozioni stravolgenti e belle. 

La giuppy è stanca. 

Se avessi ceduto davvero tutte le volte che ho pensato di non farcela, forse non sarei qui. 
Ma se avessi ceduto almeno qualche volta, forse starei meglio. 
Invece no, ho scelto sempre di tenere duro, o almeno di  provarci sempre. L'unica volta in cui ho lasciato che qualcosa si incrinasse, è stato quel giorno a dicembre che mi si è abbassata la voce, da tanto ho urlato. 
Sono stata meglio ma solo per poco, perchè poi ho dovuto ricominciare a reggermi su me stessa. Quando vedi che reggi, senti la vertigine di onnipotenza... ed è facile pensare che quella sarà una condizione costante della tua vita, dimenticando che prima o poi affioreranno i lividi.
E non c'è medicina che funzioni con i lividi. 

Insomma, per uscire un pò dalle mie metafore patetiche, sono stanca, ma stanca stanca.
E non mi servono vacanze, sport, aperitivi, feste e concerti. Mi serve una sera intera in Città Alta a guardare le stelle, e non pensare a niente. 

Ah.... malgrado sia così autocentrata in questo periodo, non dimentico che ho sempre a fianco la mia bellissima figlia che ormai costruisce frasi, racconti, discorsi elaborati e spettacolari da ascoltare. Si ammala sempre con la stessa costanza di cui ho già ampiamente parlato, inizia a dimostrare una personalità strutturata e del tutto autonoma, fa moltissime domande su cosa mangiano le cose, gli animali e le persone (sì, le cose: "Cosa mangia il buio?"), inventa universi paralleli ("No mamma, non esistono le mucche") e non ce la fa a tollerare le parole straniere, lei le deve completare con la vocale: biberonne, tennise, yogurte, garagge. 
La adoro. 
giuppy

domenica 22 luglio 2012

Torre di controllo aiuto sto finendo l'aria dentro al serbatoio!




Sto annaspando con il 52 wp, ma non voglio postare  foto a casaccio sul blog per riempire le settimane.

Quindi perdonatemi se non sono alla pari e se non mi disturba troppo l'idea di dare di me  l'impressione di quella che arriva sempre di corsa, in ritardo e con il fiato corto.

Apprezzabile il mio concetto di impegno (almeno il concetto), me lo dico da sola.

Questa foto mi infonde una sensazione di calma.
Cielo e mare di un azzurro intenso, un colore che adoro.
Per chi abita come me in pianura, vedere questi colori cosi' vividi è raro.

Altrettanto raro è quando posso godere di tutto il tempo che desidero per scattare foto, senza dovermi adeguare alle tempistiche altrui, gioia per i miei sensi.
Sono rimasta appoggiata a questo moscone da salvataggio a lungo, prima di scattare.
Un po' per stabilire cosa volevo e come fotografarlo, un po' perché mi sentivo a mio agio lì.
E' tipico mio appoggiarmi a qualcosa quando mi fermo in un luogo, non mi trovo a mio agio negli spazi troppo aperti che non offrono una sorta di riparo.
Fosse anche solo un masso, una duna, un albero, ma un qualcosa ci deve essere.
Sarà facilmente psicanalizzabile questo mio bisogno, non ne dubito.

Anche quando devo scattare una foto, se trovo un angolo, un muro, un marciapiede, insomma una sorta di parcheggio mentale mi ci infilo.
Ecco, questo pattino per me è stato quell'oasi dove starmene indisturbata dall'andirivieni della gente che passeggiava sul bagnasciuga.

Un eremo dove moderare i pensieri e lasciarli pendere tra il cielo e il mare.
Un porto dove consentire loro di  prendere il largo e ricondurli all'ormeggio se necessario.

Pensieri che ti vengono cosi' random, lasciati  lì in balìa di quella linea  netta dell'orizzonte,  dove chiunque almeno una volta davanti al mare rivolge lo sguardo.

Detto questo mi vien da chiedermi:

Perché non mettere a fuoco l'orizzonte?

Perché non lasciare intravedere la sabbia e la base del moscone?
Perché quei galleggianti tondi bianchi, cosi' importanti seppur poco fotogenici?

Ammesso che a qualcuno interessi, io mi rispondo pure.

L'orizzonte l'ho voluto sfocato, perché i miei pensieri in quel momento erano cosi': lontani ma non ancora in un punto preciso,  e decisamente  poco nitidi.

La base del moscone appoggiata alla sabbia avrebbe dato un'impronta troppo terrena a quell'immagine, certo io ero sulla terra ferma , ma la mia mente era proiettata altrove.

E i  galleggianti tondi?
Ci pensano loro ad indicarmi la direzione, la via di fuga e allo stesso tempo a farmi percepire  quel rassicurante senso di stabilità se venisse meno o se proprio ci fosse bisogno di un appiglio.


Ma anche no.

Elena.












mercoledì 18 luglio 2012

Guardo le nuvole lassù


Come giustamente diceva la mia compagna di blog, io scatto foto ossessivamente in questo periodo.  

Scatto foto a Elisabetta, perchè mi sembra di perdermi ogni giorno qualcosa di lei e dei suoi riccioli castani, se non mi sbrigo a fissarli subito. 
Scatto agli oggetti che mi circondano, guidata dal desiderio di riempire l'i-phone di foto delle cose che ho, perché quelle che non ho più sono stampate nella mia testa: un inventario doloroso che vorrei solo dimenticare. 

Scatto moltissime foto a me, quasi ogni giorno. Le pubblico su facebook e su Instagram, forse a volte suscitando la curiosità di chi si chiede che diavolo stia facendo. 
Non lo so, ma mi sono fatta delle domande.

Non sono particolarmente fotogenica e non avverto il bisogno di sentirmi "guardata". Quasi tutte le persone che hanno accesso al mio profilo di Instagram o di Facebook hanno anche la (s)fortuna di vedermi spesso dal vivo, quindi non credo si stia disseppellendo in me una sorta di esibizionismo. In fondo, non ritengo di avere molto da mostrare ultimamente: alta un metro e mezzo e poco più, sono dimagrita troppo nell'ultimo anno perchè il mio fisico abbia un qualcosa di armonioso, occhiaie perenni, pelle sempre troppo bianca. Mi capita che mi vengano fatti dei complimenti per le foto che pubblico e di solito mi stupisco, non crogiolo nella beatitudine di sentirmi dire quanto sono bella o magra. A volte mi infastidiscono i complimenti, anche se ben argomentati, perchè trovo che non si sia colto cosa volevo davvero dire con una foto. 

E allora, Guppy, cos'è che volevi dire esattamente?? 

Volevo dire che sto cercando il volto della donna che sono. 
Spesso, senza volerlo, mi viene in mente la voce di Bono: "Looking for the face I had before the world was made".

Per troppo tempo ho lasciato che i giorni mi scorressero addosso senza capire chi fossi e cosa stessi diventando, per troppo tempo ho smesso di farmi domande e ho lasciato che me le facessero gli altri, spesso tergiversando sulle risposte, a volte mentendo. 
Se qualcuno ti chiede: "Sei felice?" è molto facile mentire. Ma se ti fai una foto e poi  la riguardi, ricordi perfettamente come ti sentivi in quel momento, che cosa ti scorreva nelle vene. Rabbia, desolazione, leggerezza, senso di libertà, preoccupazione, la gioia di una domenica a fare linguacce all'i-phone dopo aver pianto per un cespuglio di salvia, i percorsi in macchina con la testa piena di paure, i caffè tristi la mattina e quelli leggeri, il senso di smarrimento dentro un'ascensore che ti porta in un posto da cui tornerai diversa, e non sai ancora quanto. 

Mi sono accorta che sono io a fare del mio destino una vita, sono io che governo e tengo in pugno i miei giorni. Reagendo, esprimendo, parlando, decidendo. Lo faccio da sola, male, con fatica, con incostanza, ma ho capito che è sul mio viso che si legge l'effetto del mio stare nel mondo. E ho bisogno di saperlo e di ricordarlo, guardandomi. 

Questa foto, in particolare, fatta una mattina. Con leggerezza, un sorriso appena accennato che se calchi un pò la mano diventa una risata, il mio caffè e la mia sigaretta, nel silenzio di quando ancora la giornata non è iniziata. Una di quelle mattine che hai il coraggio di guardare le nuvole lassù. 
Sono io, adesso. 

giuppy

sabato 7 luglio 2012

A cosa stai pensando? 26 wp!


Una delle foto che più mi piace di quelle scattate recentemente è questa.

Mi piace per svariati motivi e stranamente  non mi ha ancora stancata, infatti non l'ho archiviata mentalmente come banale, cosa che puntualmente succede con molte altre dopo averle guardate e riguardate più volte.
Non voglio fare l'inventario degli innumerevoli difetti che ha, ma voglio godermela cosi' com'è.

Sono capitata  alle spalle di questa famiglia che ha subito attirato la mia attenzione  per l'insolita quantità di rosso che si portava addosso.
E' noto che il colore rosso, in una fotografia ha sempre un buon impatto scenico, e qui si puo' dire che son cascata in piedi.
La parte piu' bella è stata sperare che mi si creasse una situazione ancor piu' interessante, al di là dell'abbigliamento già degno di nota.
A loro insaputa,  son rimasta li' qualche minuto in silenzio con l'obiettivo puntato.
E poi, fortunatamente uno slancio di romanticismo dell'uomo (pare esistano ancora uomini romantici) mi ha regalato questo momento che non mi son lasciata sfuggire!
Eppure piu' guardo l'immagine e piu' è il bimbo che attira la mia attenzione.
Non si vede il volto, ma non mi serve guardarlo.
 Lo riesco ad immaginare benissimo gia' dalla sua postura; sufficientemente annoiato.
Mi fa sorridere e mi riporta subito con la mente a  quando, piu' o meno alla sua età vedevo mio padre abbracciare mamma e mi infastidiva pure un po'. 

A differenza sua pero' io ero piu' sfrontata, mi ci mettevo in mezzo di proposito per separarli.

Ultimamente quando mi capita di vedere i bimbi, magari in silenzio o assorti nel loro giocare mi chiedo a che età si cominci davvero a pensare.
Quand'è che si formulano pensieri di un certo spessore?
Della mia infanzia ho dei ricordi  poco intensi e non riesco a mettere a fuoco se gia' allora fosse normale per me azionare il frullatore che ho al posto del cervello, se non per decidere quale Cicciobello desiderassi o quale vestito per la Barbie mi piacesse di piu'.
Comunque tornando al bimbo della foto la Giuppy ci ha messo del suo e (conoscendomi bene l'ha fatto apposta), mi ha chiesto: "Ele, ma.... a cosa penserà quel bimbo?".
E' stato facile risponderle  : " Che noia i grandi! " e lei ha prontamente aggiunto: "E io voglio andare alla sala giochi".


Chi mi conosce a fondo, purtroppo ha ben chiara  la mia propensione a formulare questa domanda:

 " A cosa stai pensando?".

Che poi appunto, pensandoci , mi dico da sola : " Ma che domanda è Ele? ".
Almeno il pensiero, l'unica cosa che si può tenere per se stessi...
Poi mi autoconvinco che in fondo se chiedere è lecito e rispondere è cortesia, in questo caso ci si puo' inventare qualsiasi cosa per non essere scortesi.
E mi piace anche sentirmi rispondere, a volte con decisione "Non sto pensando a nulla perchè?".
Sara' che io senza pensare, proprio non ci posso stare.
Sara' che mi piace immaginare che i pensieri spesso si traducono in parole cosi', senza doverli filtrare. 
Per contro mi piace anche immaginare  le parole che si devono inventare per filtrarne alcuni che non possono essere liberamente tradotti.
Insomma, tutto sto giro di parole e pensieri contorti son stati evocati dal bimbo di questa foto e se non si fosse capito, mi piace.

Ele.

mercoledì 4 luglio 2012

Ago e filo


C'è stato un tempo in cui gli errori sembravano rimediabili. Si tracciavano linee, si chiudevano cerchi. Dentro e fuori.

C'è stato un tempo in cui le cose che si dicevano erano pilastri. Dentro e fuori. 

Ci sono stati giorni con i piatti in tavola e scarpe bagnate sul pavimento, orchidee che fiorivano sul davanzale della mia finestra preferita. 

Pizze da asporto, una per me e due per te. Io la rucola, sempre e comunque. Fammela assaggiare dai. Ma sai che mi piace?

Cavi sparsi ovunque. Non ho mai capito bene a cosa servissero, ma tu lo sapevi e andava bene così. 

Il mio disordine, il posacenere pieno, gli accendini nello stesso posto, per trovarne sempre uno. 

La mia voce che riempiva le stanze, la mia risata, i miei intercalare, l'armadio color tortora. 

Le date che si mescolano nella mia testa, i cinque mesi che tu non hai saputo capire: sono salita su un treno e ho fatto il viaggio da sola. Poi sono tornata indietro, ma ero diversa.


Domenica mi hai detto: Fotografa le ombre delle persone, non le persone: vedrai che la foto viene più bella. Non hai capito cosa mi stavi dicendo davvero. 

A volte, ho la sensazione che si sia aperto un baratro sotto i miei piedi: ho tentato di cucirlo con ago e filo. 

Non ci sono riuscita. 

giuppy

domenica 1 luglio 2012

Bergamo-Spotorno



A febbraio ho dato il consenso, con enorme entusiasmo, ad una gita di tre giorni a Spotorno organizzata dal nido: presenza delle educatrici e delle famiglie dei compagni di Elisabetta, prezzo competitivo, il mare... Tutti elementi che mi hanno fatto immaginare ad una tre giorni di paradisiaco sciallo. "Tanto, il 22 giugno è così lontano, ho tutto il tempo di organizzarmi".
Peccato che nella mia testa in modalità frullino, la data della gita sia lentamente slittata di una settimana, per motivazioni a me ignote. Ho programmato ferie, acquisti di pantaloncini e canotte e impegni lavorativi pensando che sarei partita il 29 giugno. Il 19 ho scoperto (praticamente per caso) che saremmo partite il 22. 
22-19=3. Io in tre giorni sono a malapena in grado di organizzare una gita al parco con merenda, figuriamoci il mare. Già solo questo segnale divino avrebbe dovuto convincermi a desistere, ma dovete sapere che io sono una persona molto fedele agli impegni presi, e poi insomma, è vacanza.... Vi risparmio il racconto dei preparativi frenetici, è molto meglio, ma chi ha la fortuna di leggermi su fb sa bene come è andata....

Nonostante tutto, venerdì 22 sera eravamo sul bus, armate della nostra mommy-bag che per l'occasione si è prestata a fare da borsa da spiaggia, borsa da sera, beauty-case e anche borsa frigo. Mamma dotata di abbigliamento minimal e basato su tutte le tonalità possibili di nero, bimba con guardaroba H&M un poco più curato. In dotazione, oltre a creme solari di ogni gradazione oltre il 50, un solo pacco di salviettine, che la mamma ha puntualmente dimenticato alla prima fermata in autogrill. 
Proprio in autogrill ho avuto la sensazione che qualcosa non funzionasse a dovere. Ci siamo fermate per la sosta in bagno (avete mai provato stare in un bagno dell'autogrill con vostra figlia dentro insieme a voi che vuole esplorare l'ambiente?) e quando ne siamo uscite tutte le altre famiglie partecipanti alla gita erano già comodamente sedute. Io mi sono ritrovata da sola davanti al bancone del self-service, con una bimba di due anni da tenere per mano, la mommy-bag (a quel punto già inconsapevolmente alleggerita delle salviettine) e il vassoio. Mi sono chiesta: e adesso come faccio?? Ho fatto, chiaro: bimba e mamma sono state sfamate, ma ho avvertito nella schiena un brivido di paura a cui al momento non ho dato molto peso, ma più avanti mi si è chiarito. 

Partite da Bergamo alle 18.30 al grido di "andiamo al mare Elisabetta-mare Dettà mare Dettà", all'arrivo a Spotorno alle 23.30 Dettà voleva andare al mare, non a dormire. Convinta la bimba che sì, ce l'ha un senso l'aver fatto un viaggio così lungo verso il mare per non vedere il mare, la parte difficile è stata convincere Dettà a:
1. Rinunciare ai suoi spazi di autonomia per dormire in un letto normale appiccicato al letto della mamma in una versione di co-sleeping che lei hai sempre schifato;
2. Dormire in una stanza con altre due famiglie e quindi altri tre bimbi;
3. Dormire con la luce del bagno accesa perchè evidentemente tutti i bimbi sono abituati a dormire con la luce, tranne Elisabetta che prende sonno solo con il buio pesto;
4. Piantarla di chiamare tutti i suoi amichetti all'una di notte;
5. Che no, adesso proprio non si può andare a dormire a casa. 
Totale delle ore dormite all'alba del sabato mattina: 4. Pronte per la spiaggia. Di sassi. Ma di sassi grossini. 

Alle 12 circa del sabato la sottoscritta piangeva disperata al telefono (grazie D., grazie) infilando le seguenti lamentele: non conosco nessuno-è pieno di scale e io devo sollevare ely nel passeggino con la borsa al collo che pesa 18 kg. Eh no che non posso appoggiarla la borsa, che domande fai-ho sete e non posso comprare l'acqua perchè chi diavolo mi tiene la ely (che sono circondata solo da altre 15 famiglie e 4 educatrici)-in spiaggia ci sono i sassi e la ely si lamenta-ho perso le salviettine e adesso cosa faccio-al ritorno dal mare mi sono persa e me ne sono accorta solo quando ho visto il cartello "Bergeggi"-c'è una bambina che ha l'eta della ely e già non usa più il pannolino e nemmeno il ciuccio buuuuuuuuu. 
A parte gli scherzi (ma non troppo), è stata dura. Io che per natura non amo muovermi in ambienti che non conosco, che difficilmente lego con gli sconosciuti, che mi imbarazzo sempre a chiedere aiuto, stavolta ho davvero fatto fatica a gestire tutto. Perchè se hai una bimba con una pericolosa (e fisiologica) tendenza alla fuga e devi fare delle scale portandoti dietro anche passeggino, borsa, salviettoni, ombrellone, cestello e paletta, ti trovi come davanti a un fiume con la barca e le capre e i cavoli o qualcosa del genere. 

Elisabetta si è comportata benissimo: sa ancora distinguere quando le parlo davvero con serietà ed è quindi necessario che mi stia vicino, che si metta il cappellino, che mi segua. Si è divertita: ha travasato sassi, giocato con l'acqua, lavato pupazzi, abbiamo fatto la doccia insieme con gli accappatoi dello stesso colore. 

Ma. 
Sono tornata a casa stanchissima. 

E.
Io ho delle serie difficoltà a gestire la relazione con alcune persone, ma davvero serie. 
Durante questi quasi-tre giorni ho sentito una quantità sconvolgente di indicazioni e ordini rivolti ai bambini: STAI FERMO e NON METTERE LE MANI PER TERRA sono quelle che mi hanno fatto pensare di più. Non ho mai detto a mia figlia nè di stare ferma nè di non mettere le mani per terra, semplicemente perchè credo che siano compiti impossibili per un bambino di due anni. Forse può capire che deve stare ferma su una sedia se la devo lasciare un attimo sola, o che non deve mangiare la terra... Ma sgridare un bambino di due anni perchè deve stare fermo in piedi ad attendere che una porta si apra è assurdo, così come imporgli di stare fermo e dormire in pieno pomeriggio "perchè io sono stanca". 
Se vedo Elisabetta giocare, da sola o con un bambino, mi metto in una posizione da cui la posso osservare e tendenzialmente non intervengo finchè mi chiama, la sento piangere o noto qualcosa di strano. Nel frattempo, se ne ho voglia, sfoglio una rivista o fumo una sigaretta, senza alcun senso di colpa: si diverte lei e mi diverto pure io. In molte occasioni non ho potuto farlo perchè sono stata contagiata dall'ansia delle mamme interventiste che, piazzate in piedi sopra ai bambini presi dal gioco, davano loro indicazioni continue: Non così, lascia stare, piano, noooo, basta adesso. Ho visto invece una mamma stupenda sempre seduta a giocare con i bambini, facilitando la loro relazione e partecipando, serenamente e con gioia. 
Dico la verità: non appartengo a nessuna delle due tipologie di mamma, ma la mamma interventista mi fa davvero venire l'ansia e la voglia di portare mia figlia il più lontano possibile.... per affidarla alla mamma serena che me la fa giocare mentre io sfoglio la rivista.... ehm, scherzo naturalmente.... Però mi sono accorta di quanto gli stili educativi diversi siano spesso inconciliabili e difficili da far convivere in spazi ridotti, si rischia l'incidente diplomatico con molto poco. Ma io sono stata brava e ho evitato ogni incidente, cercando di comprendere e capire i punti di vista diversi, seppur con grande fatica questa volta. 
Innegabile: a due passi da me Elisabetta si è strofinata una manciata di sassolini negli occhi, è caduta un numero di volte impressionante, si è sporcata con qualsiasi alimento commestibile, ha sudato correndo a mezzanotte dopo aver mangiato il gelato... Per qualcuno è intollerabile, per me è avere due anni

Sono tornata a casa con la consapevolezza che io e Elisabetta possiamo affrontare ora una vacanza da sole, che non ho bisogno di qualcuno per poter andare in bagno, farmi la doccia, bere il caffè, preparare la valigia, mettermi la crema: possiamo farlo insieme io e lei in maniera molto creativa, e molto bella. 

In questa foto fatta durante la mni-vacanza Elisabetta mi sembra più grande dei suoi due anni, ha un'espressione seria e assorta che mi piace, e trovo che mi somigli moltissimo. 
E in effetti è proprio così.

giuppy