martedì 28 giugno 2011

Le mie linee


Se cerco di visualizzare la mia vita, vedo una lunga pagina piena di scritte fitte fitte. 
A fianco, ogni tanto fanno capolino freccette che richiamano micro-capitoli, asterischi che rimandano a lunghe note, parentesi che aprono discorsi. In mezzo, tra i capoversi, qualche linea nera che divide e ferma. Oltre le linee, il mio racconto ricomincia.

Le linee nere sono “quella volta che” la mia vita si è fermata per far entrare il dolore.
Quella volta che all’asilo la suora mi ha trattato male, perché chiaccheravo.
Quella volta che a scuola mi hanno preso in giro e non riuscivo a reagire.
Quella volta che l’ho capito, davvero, che qualcuno era amato più di me.
Quella volta che alle medie non andavo bene perché non ero più capace di studiare.
Quella volta che ho scoperto il significato dell’opportunismo.
Quella volta che mi sono sentita usata.
Quella volta che ho tradito, e l’avevo anche calcolato.
Quella volta che sono stata tradita, e non ho capito perché.
Quella volta alla stazione, quando ho dovuto prendere le mie cose e andarmene.
Quella volta che ho capito che si stava ridendo proprio di me.

Io sono anche una persona maledettamente orgogliosa, e anche un po’ stronza. E quindi mi sono sempre rialzata, e ho ricominciato a scrivere il racconto dei miei giorni.

Nella vita sono sempre riuscita a infilarmi nelle situazioni più complicate e più difficili, sono stata capace di giocare con la vita mia e degli altri, pericolosamente in bilico.
Ma quando le cose si mettevano male, non mi scottavo mai: io scappavo.

Ho abbandonato amici intontiti a pensare se ero davvero ancora io quella stronza gelida che gli girava le spalle.  Ho lasciato uomini con la bocca aperta increduli che stessi veramente scappando. Ho lasciato discorsi importanti a metà quando l’argomento diventava spinoso, quando sapevo che chi avevo davanti voleva sapere troppo di me, o aveva capito troppo. Ho fatto promesse che sapevo di non poter mantenere, con leggerezza, fregandomene di chi mi credeva.
Solo che in corrispondenza di questi momenti non ci sono linee nere sulla mia pagina, ma parentesi che si aprono su altre prospettive,  frecce che rimandano a una nuova fase della mia vita. Senza troppi ripensamenti, sensi di colpa, paure, pensando che in fondo a me non servono molte persone intorno: una o due amiche, il resto sono conoscenti. E se sono solo conoscenti non sanno nulla di me e io posso stare anche senza di loro, in qualsiasi momento. Meglio della nicotina.

Il 10 dicembre 2009, invece, c’è una linea nera spessa che taglia a metà il foglio della mia vita e il tratto è talmente pesante che ha inciso la carta. E’ il giorno in cui mio papà è morto.
Sotto quella linea la scrittura è diventata incerta, l’inchiostro è più chiaro e in alcuni punti si è allargato in una macchia sbiadita, molte frasi sono state scritte e poi cancellate con un tratto di un altro colore. Non ci sono più parentesi, non ci sono frecce, non ci sono asterischi, ma tante righe vuote e tante frasi fatte solo di una parola.

E’ passato del tempo, lo so; è nata Elisabetta e so bene anche questo. 
Eppure il dolore ha lo stesso sapore amaro in bocca. Lo stesso di quando mio papà mangiava l’anguria e mi diceva: “Vedi: io lo so che è dolce, ma quando la mangio sento solo un sapore amaro”.

Io vorrei tanto parlarne, ancora e ancora, vorrei che qualcuno mi dicesse: “Ehi, raccontami come è andata, raccontami come ti sei sentita, raccontami della rabbia e dello stupore e della solitudine e della testa che scoppia. Raccontami chi era tuo padre prima di morire.” Se potessi parlarne, forse qualcosa si potrebbe ancora scrivere sotto quel tratto nero. Invece è tutto fermo, una pagina che sta diventando sterile e arida. 
Perché a nessuno piace sentire parlare di queste cose.

Le vite delle persone, poi. Io le persone le vedo in modo diverso da prima. Se hanno provato un dolore simile al mio le sento vicine, sento che la loro vita ha un senso diverso per me, non sono più solo pedine per i miei interessi o semplici conoscenti, ma sanno che cosa è la morte e per questo mi somigliano.
Oppure, se non mi somigliano, un giorno potrebbero sentirsi come me. 
Ma anche, più semplicemente, il restare scottata dalla vita mi ha fatto capire quanto sono fragile, umana, quanto devo cercare di chiamare le cose per nome, senza nascondermi.

E scrivo su un blog, che è decisamente più economico di un analista… questo mi sta aiutando ad avere ancora voglia di scrivere qualcosa sotto quella linea nera, di aprire parentesi, mettere asterischi, fare freccette, scrivere di me e della mia vita, e convincermi che prima o poi passerà.
giuppy